giovedì 25 settembre 2008

Into my pocket



Diciamo le cose come stanno, io non mi sono mai veramente staccato da questo Blog.
Ne l’ho mai trascurato o ignorato, se pur con la mia apparente assenza.
Ci penso spesso, raccolgo ancora pensieri vaganti che poi trovo dimenticati in tasca e non mi sottraggo dal domandarmi perché è meno pressante la necessità di pubblicare.
Una risposta o forse più d’una, c’è.
Pensandoci su, tornando ai mesi del 2007, posso dire che ho banalmente avuto la necessità di “apparire per esistere”.
Fu il desiderio di riappropriarmi di una platea pubblica nel momento in cui quella strettamente privata era svanita, volendo dimostrare a me in primiis di poter scendere in quegli strati intimi dell'auto-analisi che spesso dimentichiamo di usare, così come fu il mezzo di comunicare contemporaneamente con l'interlocutore perduto ed altri mai conosciuti.
Sentii un'esigenza tanto improvvisa quanto provvidenziale.
Eppoi si sa, certe visualizzazioni del quotidiano, certi ragionamenti e relativi commenti, siamo incapaci di esprimerli verbalmente; la parola scritta ci permette, chissà poi perché, di andare più in profondità, imponendo a noi stessi in questo esercizio importante, di fermarci un pò a pensare.
E poco importa se si passa attraverso un blog o un diario nel cassetto, se questa pratica evita lo stallo mentale, il congelamento emotivo, l'inaridimento dell'emozione, l'annichilimento dell'autostima.


C’e un Angelo che si agita forsennato
e ti addormenta se solo socchiudi gli occhi.


Di parole inventate
di rispetto e stupore
seguo a ritroso le tracce perdute
volgendo le spalle, per un volere non mio,
ad ogni contrasto incolore.
Nel traffico più anonimo si raccontano le storie
che un silenzio gridato ora nega al vissuto.
Ma tu resti, sospesa, testimone di quel giorno
in cui un atto di coscienza
diede un senso e direzione
a ciò che adesso non accetta sentenza.