E non lasciavo che al ricordo distratto la possibilità di fissare nel vuoto, tu ignoravi il presente chiedendomi “Quante vite hai?”. Ma mi piaceva quella finzione da grandi, tanto da conoscerne ogni legge.
I vuoti cinici venivano colmati con avidità, consapevoli della gravità dei segreti che incauti ci ripetevamo ad occhi chiusi. L’ironia nel bonificare il tempo rimanente impediva di imbrogliare, così mi sentii costretto a smettere di chiederti banalità. Mi parlavi di animali e replicavo con dolore e apparente maestria, mosso solo dalla voglia di restare chiuso dentro. Venezia, ancora tu che resti integra per me, mentre noi ci stringevamo e ridevamo, poi seri e lontani ne cancellavamo i muri.
Eccoti qui, ti accolgo arida e umida come ti vedo ma non più di quanto non lo sia io.